MAESTRI DEL PASSATO
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Luigi Valadier eclettico artista del Settecento 05/04/2020 - Anna Maria Di Stefano

Luigi Valadier (Roma, 1726-1785) il mestiere l’aveva nel sangue, discendendo da una famiglia di argentieri francesi stabilitasi a Roma dalla Provenza.
Il padre Andrea aveva aperto nella prima metà del ’700 una bottega nei pressi di San Luigi dei Francesi dove realizzava - con il figlio - soprattutto opere a carattere sacro e di arredo liturgico. Entrambi annoveravano già fra i loro committenti nomi altisonanti italiani e stranieri fra cui gli Odescalchi, il principe Camillo Borghese, il Sovrano del Portogallo.
Per i Borghese, ad esempio, produssero già dagli anni Cinquanta gli arredi sacri della Cappella eponima a S. Maria Maggiore e della Cappella del SS. Sacramento in San Giovanni in Laterano mentre realizzarono un’imponente
cancellata (1744) per la patriarcale di Lisbona.

Il gusto rococò della bottega Valadier
Nello stile i Valadier erano allineati a quel gusto francese diffuso in quegli anni a Roma, tanto che nel 1754 Luigi andò a Parigi per un viaggio di perfezionamento. Fu questa l’occasione, però, per dimostrare subito la sua inventiva e originalità: avvicinatosi al gusto rococò in voga in Francia per gli arredi profani, tornando nella Capitale, ne trasse un elemento di originalità introducendolo anche in contesti sacri.

Alla morte di Andrea (1759) Luigi continuò a condurre da solo la bottega rendendola estremamente fiorente. L’ultimo lavoro eseguito in questa sede fu, probabilmente, la grandiosa lampada ad olio in argento, alta più di tre metri, commissionata per il santuario di Santiago de Compostela dal canonico spagnolo don Diego Juan de Ulloa.

L’opera - prima della sua definitiva partenza per la Spagna - fu esposta un’unica volta all’ammirazione dei romani in San Luigi dei Francesi nel 1760: solo di recente la mostra Valadier. Splendore del Settecento (Roma, 30/10/2019-23/2/2020) l’ha riportata nella Capitale. Con questa lampada e con i due lampadari gemelli a dodici braccia quasi delle stesse dimensioni, eseguiti quattro anni dopo per lo stesso committente ed esposti anch’essi - prima della partenza per la destinazione ultima - nella nuova bottega di via del Babuino, lo stile rococò di Valadier toccò il suo apice.

Luigi Valadier e l’antico: la stagione neoclassica
Dagli anni Sessanta, però, cominciava a prevalere una moda caratterizzata dal ricorso all’antico. In quest’ambito a Roma trionfava la progettualità di Giovanni Battista Piranesi 
(Mogliano Veneto, 1720–Venezia 1778) sia nella “grande” che nella “piccola” architettura intesa come “allestimento di spazi interni”. Valadier, affascinato dalle scoperte dell’archeologia - provenienti non solo dal mondo romano ma anche dalle multiformi testimonianze delle civiltà confluite nell’impero - e dall’opera del grande architetto ne diede, però, una rilettura personalissima. Grazie alla sua inventiva, alle sue capacità, alla sua sensibilità, “traghettò” il gusto dall’esuberanza del barocco e, soprattutto, del rococò di tipo francese alle istanze d’avanguardia del neoclassicismo, espresse in un linguaggio contenuto e sofisticato. Questa metamorfosi culminò, ad esempio, ne l’Erma di Bacco (1773), considerata “la prima opera definibile in pieno neoclassica” (A. Coliva).

La bottega di via del Babuino
All’alba di questo cambiamento dello stile e del gusto Luigi Valadier - agli inizi dei più prosperi anni Sessanta - si trasferì nella nuova bottega al civico 89 di Via del Babuino - allora “strada Paolina” - avendo bisogno - man mano che cresceva la sua fama e aumentavano le committenze - di un laboratorio più grande. Ben presto il luogo - nel contempo negozio, bottega, laboratorio, fonderia - si configurò come l’ombelicus Urbis, anzi, l’ombeliscus mundi della Roma e dell’Europa che contavano: pontefici, prelati, regnanti, nobili, aristocratici e loro emissari.
Il suo più assiduo committente fu - insieme a Papa Pio VI Braschi (Cesena, 1717-Valenza, Francia, 1799) - il principe Marcantonio IV Borghese (Roma, 1730-1809), l’uomo “più fastoso di Roma”.

Valadier e le committenze illustri
Se la committenza Borghese costituisce il filo conduttore dell’attività di Valadier e se “Villa Borghese è il luogo che può far comprendere, meglio di ogni altro, la sua figura nella varietà delle sue realizzazioni” (A. Coliva), il rango e il numero degli altri committenti rivelano comunque lo straordinario successo della sua carriera, evidenziando la vastità, l’originalità e l’impronta internazionale della sua produzione.
Nella nuova bottega, divenuta subito tappa obbligata per i viaggiatori del Grand Tour, “comincia”, o meglio “continua” l’avventura di uno dei più straordinari protagonisti della Roma del ’700. Argentiere, orafo, fonditore di bronzi, patinatore, ebanista, disegnatore di talento, restauratore e molto altro ancora, esprimendosi in tipologie eterogenee fra loro per dimensioni, materiali e finalità d’uso - “dall’infinitamente piccolo” all’ “infinitamente grande” - determinò con la sua opera, la formazione e l’evoluzione di uno stile neoclassico che per gran parte del ’700 ha dominato l’Europa e ha fatto di Roma il centro del mondo, in decenni in cui la Città Eterna visse una grandissima stagione artistica per quantità e qualità di artisti e committenze.
Nel suo laboratorio presero vita tutte le modalità artistiche in cui si espresse: raffinatissimo argentiere, statuario, cultore e interprete del mondo antico, artefice del fasto moderno delle grandi dimore.

Valadier: una figura poliedrica
Progettista e disegnatore eccelso
Per conoscere appieno la figura di Luigi Valadier (Roma, 1726 - 1785) - determinante nella cultura figurativa del Settecento europeo e il lavoro nella sua bottega - sono di fondamentale importanza anche i disegni preparatori delle opere.

La loro rilevanza ha una duplice valenza: da una parte fanno conoscere la genesi dell’opera stessa, dal momento dell’ideazione alla sua realizzazione, dall’altra sono testimoni insostituibili di opere ormai irrimediabilmente disperse.
È questo il caso, ad esempio, del celeberrimo servizio da tavola in argento dorato realizzato per il Principe Marcantonio IV Borghese, costituito da centinaia di oggetti - posate, piatti da portata, sottopiatti, rinfrescatoi per bottiglie, alzate, terrine e zuppiere di nuova concezione e fantastici ornati, caratterizzati dagli elementi decorativi del festone di alloro e della testa della Medusa - di cui restano oggi solo sette pezzi.

Il tracollo finanziario subito da tanti principi romani a seguito del Trattato di Tolentino (1797) e delle requisizioni napoleoniche coinvolse, infatti anche il principe Borghese che, infine, fu costretto a disfarsi dello splendido corredo che probabilmente andò fuso.

Una particolare importanza riveste l’Album di disegni (1744 ca.-1810 ca.), ora alla Pinacoteca Comunale di Faenza, con quasi 250 esemplari fra schizzi e disegni accurati, una sorta di campionario per illustrare le più disparate tipologie di oggetti prodotti dalla bottega.
Molti disegni, inoltre, presentando separatamente varie parti dell’oggetto da realizzare, dimostrano la consuetudine di offrire alla scelta del committente più varianti da porre in combinazione fra loro.

Raffinatissimo argentiere
Come argentiere eccelse sia nelle opere di committenza profana che sacra. Fra le prime è da ascrivere - fra tutte - la “nuova credenza”, una delle committenze più cospicue del principe Borghese la cui realizzazione si prolungò per circa 15 anni (dal 1768-1784): il costosissimo servizio da tavola in argento rivestito da un bagno d’oro cui abbiamo è già accennato.
Anche la suppellettile sacra - ambito di produzione tipica per gli argentieri – occupa un vasto spazio nell’opera di Valadier e della sua bottega estrinsecandosi in opere di varia tipologia, dagli arredi liturgici (calici, ostensori, reliquiari, servizi da messa) a quelle più monumentali (es. le già citate Lampade).

Statuario
“Statuario” si definiva lo stesso artista in un conto diretto al principe Borghese. Richiestissimo per la riproduzione di statue classiche, già al 1764 risalgono le prime commissioni per grandi fusioni di bronzi tratti da esemplari antichi: tre statue raffiguranti il Galata morente, il Sileno Borghese e l’Antinoo realizzate in dimensioni di poco ridotte rispetto agli originali per Syon House, la dimora inglese del primo duca di Northumberland. Nel decennio successivo proseguono le repliche di prototipi classici con opere quali l’Apollo del Belvedere, la Venere Callipigia, l’Ares Ludovisi, l’Antinoo Capitolino, l’Amazzone.

Accanto alla riproduzione dell’antico, convive la sua reinterpretazione come accade – ad esempio - nella già menzionata Erma di Bacco, dalla testa bronzea innestata su un fusto archeologico di alabastro: “quanto di più moderno fosse allora dato di vedere a Roma” a giudizio di Canova.

Ai bronzi tratti dall’antichità, connotati dalla raffinatissima finitura e dalla esemplare patinatura “all’uso antico”, si affianca la produzione di grandi statue di destinazione sacra, come gli splendidi Santi per la cattedrale di Monreale (1768) o il San Giovanni Battista firmato e datato 1772, per il Battistero Lateranense, dalla solenne impostazione classica.

Cultore e interprete del mondo antico
Il suo interesse archeologico si riverbera nelle sue reinvenzioni dell’antico quali le riproduzioni di templi, monumenti, statue, obelischi, colonne in miniatura, per i suoi famosi deser (dalla storpiatura del termine francese desert): sontuosi centrotavola che tutte le corti d’Europa si disputavano, con cui Valadier raggiunse l’acme della magnificenza artistica e decorativa.

Creazioni fantastiche e allo stesso tempo rigorose, la cui ispirazione scenografica a immagini piranesiane come la Ricostruzione ideale del Circo Massimo è evidente. A quest’ambito appartengono anche le ideazioni di nuovi oggetti con l’uso di marmi e reperti antichi. Fra queste preziosità spicca il Cammeo di Augusto (1784) - acquistato da Pio VI Braschi dalla collezione del cardinal Carpegna - che l’artefice monta realizzando un vero e proprio piccolo monumento di marmi antichi, alabastro, agata, oro e bronzo dorato per esaltare la bellezza del raro cammeo, rivisitando i principi estetici dell’antichità con straordinaria fantasia inventiva.

Artefice del fasto moderno delle grandi dimore romane del Settecento
Luigi Valadier (Roma, 1726-1785) operava in una città in cui era in corso un grande rinnovamento urbanistico che coinvolse i palazzi delle famiglie più note: gli Albani, gli Altieri, i Borghese, i Barberini, i Chigi, i Colonna, i Corsini, i Massimo, gli Odescalchi, ad esempio. La necessità di ammodernamento nasceva non solo dal cambiamento del gusto ma soprattutto da nuove istanze sociali: allentandosi sempre più il vincolo del “maggiorascato” (presto abolito dal codice napoleonico) cambiava anche la fisionomia del palazzo non più concentrato su un piano nobile di rappresentanza ma suddiviso in appartamenti per garantire anche ai cadetti un’autonomia abitativa.

Questo grande fermento coinvolse anche la piccola architettura secondo la definizione di Giovan Battista Piranesi incentrata sulla decorazione degli interni col conseguente sviluppo delle arti minori. In quegli anni la produzione artigianale e artistica fu grandemente incrementata coinvolgendo - accanto a pittori e scultori - molteplici maestranze (ebanisti, doratori, intagliatori, mosaicisti, stuccatori, marmorari, tappezzieri, restauratori) e ripresero mestieri e rifiorirono botteghe dimenticate nel tempo.
Si pensi, ad esempio, alla ripresa della tecnica del mosaico - prettamente romana - che raggiunse allora l’acme dello sviluppo e della qualità.

In questo contesto Valadier divenne artefice del fasto moderno delle grandi dimore: il suo stile segnò il gusto abitativo del tempo traducendosi in elementi di arredo e/o con funzione decorativa realizzati in gran parte per la Villa fuori Porta Pinciana del principe Borghese. Tavoli, specchiere e poi vasi, candelabri, orologi, cornici, fregi ecc. andarono via via arredando e abbellendo la villa del principe che stava subendo un profondo rinnovamento nel progetto di riconfigurazione affidato all’architetto Antonio Asprucci (Roma, 1723-1808).

Dall’analisi delle liste dei conti conservate fra i documenti d’archivio si ricava anche un dato interessante relativo al confine esistente all’epoca “tra artista, artigiano, fornitore”, un confine oltremodo fluttuante visto che l’opera di Valadier - nel complesso degli interventi - non si limitò solo al lavoro di argentiere, orafo, fonditore, ebanista, ma riguardò svariati campi (restauri, dorature, saldature ecc.) assicurando così al principe un’assistenza costante con la sua bottega.

Per conoscere ancora di più la vita dell’artista e del suo laboratorio, è utile anche il Registro generale di tutti li lavori, ferri, ordegni ed altri generi necessari per le professioni di argentiere, doratore e fonditore, di qualunque genere, varie pietre dure e tenere, lavorate e grezze, nel negozio del Signore Giuseppe Valadier [Roma, 1762-1839, figlio di Luigi da cui ereditò la bottega] nell’anno MDCCCX, manoscritto su carta ora al The Frick Collection di New York.

In ogni caso, sia che si trattasse di opere a carattere sacro che profano, la costante che accumunò tutto il lavoro di Valadier fu sempre la ricerca del gusto, nella sua continua evoluzione, inseguendo e spesso anticipando il cambiamento degli stili e delle mode.

L’epilogo
L’artista - celebrato recentemente da due esaustive mostre monografiche (Frick Collection, New York, 2019; Galleria Borghese, Roma, 2019-2020) - morì suicida nel Tevere mentre era ancora all’apice del successo, impegnato nella lavorazione del campanone della Basilica di San Pietro. Pare che alla base del gesto insensato ci fosse un tracollo economico: spesso, infatti, i grandi committenti stranieri partivano da Roma con le opere, senza averlo retribuito.
Si chiuse così tragicamente la vita di colui che rese la Roma del ’700 splendida e magnifica.

 

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Anna Maria Di Stefano
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Esperta di discipline biblioteconomiche e di information retrival. Dopo la laurea in Lettere (Roma, Università degli Studi “La Sapienza”) ha conseguito il Diploma di Specializzazione di Paleograf [...]
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