periodo: 17/04/2018 - 03/06/2018
La mostra Maria Monaci Gallenga. Arte e moda tra le due guerre - che si è da poco inaugurata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma - fa conoscere al grande pubblico la figura di un’artista che, nei primi decenni del XX secolo, è stata protagonista della storia della moda e promoter ante litteram - a livello nazionale ed internazionale - dell’arte decorativa italiana.
Per raccontare la complessa personalità della Gallenga (1880-1944) le curatrici - Irene de Guttry e Maria Paola Maino, in collaborazione con Gloria Raimondi e Gabriella Tarquini - sono partite da un cospicuo nucleo di documenti, foto e disegni di proprietà degli Archivi delle Arti Applicate Italiane del XX secolo, pensando di allestire una mostra con abiti e opere d’arte accostati, come faceva lei, senza far distinzione fra “arte maggiore” e “arte minore”.
L’obiettivo è stato raggiunto esponendo - oltre a un ricco materiale documentario - preziose creazioni sartoriali dell’Atelier Gallenga insieme a dipinti, sculture, vetri, ceramiche, arazzi, ricami, lavori in ferro battuto e altri oggetti d’arte decorativa dei numerosi artisti con cui collaborava.
La mostra si inserisce nel progetto di rivalutazione di artisti dimenticati perseguito da tempo dagli "Archivi delle Arti Applicate Italiane del XX secolo", Associazione fondata nel 1987 dalla de Guttry e dalla Maino, studiose di storia dell'architettura e delle arti applicate del ’900.
La mostra
L’esposizione rende parimenti merito alle due anime dell’artista: quella di creatrice di abiti sofisticati, di disegnatrice di stoffe, di sperimentatrice su tessuti pregiati di una tecnica di stampa in oro e argento segretissima e brevettata, di imprenditrice sartoriale con negozi e punti vendita in tutto il mondo e quella di ambasciatrice e promotrice delle arti decorative in Italia e all’estero.
Anticipatrice di dinamiche che - nel corso del ’900 - interesseranno le donne, la Gallenga - insieme alla milanese Rosa Genoni, a cui è stata appena dedicata la mostra Rosa Genoni (1876-1954): una donna alla conquista del ’900 (Milano, Archivio di Stato - Palazzo del Senato, gennaio-marzo 2018) - rivendica il primato italiano nella moda contro l’egemonia francese e - nello stesso tempo - la diffonde con passione nel mondo insieme alle arti applicate.
Percorrendo le sale espositive il visitatore è idealmente proiettato negli spazi della Galleria di Via Veneto o in quelli della Boutique Italienne.
Oggi come allora le sue creazioni dialogano in armonia con le opere degli artisti che apprezzava e che intendeva lanciare sul mercato dell’arte. Nomi come Duilio Cambellotti, Vittorio Zecchin, Alberto Gerardi, Emanuele Cito di Filomarino, Adolfo De Carolis, Felice Carena, Antonio Donghi, Ettore Di Giorgio, Galileo Chini, Nicola D’Antino, Giovanni Prini, Antonio Maraini, Vincenzo Cadorin, e altri ancora tutti presenti in questa mostra.
Sorprende, nella prima sala, un raffinato Abito da sera (1920), di un verde delicato in velluto e voile di seta stampati in argento a cui - per dare maggior rilievo - è riservata tutta una parete sospeso - com’è - nella solitudine dello sfondo bianco; attira magneticamente l’attenzione la Coppia di tende double face di Emanuele Cito di Filomarino, stampate in oro e argento su velluto nero sul recto, azzurro sul verso, 1924, che, nella Biennale di Venezia del 1924, faceva da sfondo a una scultura nella Sala Maraini; colpisce una Cappa (1925-30) in velluto di seta nero stampato in oro.
Quest’ultima rimanda, nella realizzazione, ad uno dei temi decorativi preferiti dell’artista: la riproduzione di una grande immagine dorata in campo nero. In questa creazione la figura di un aggressivo rapace (uccello/drago?) fantastico campeggia sul retro riprodotta in grandi dimensioni, mentre è ripetuta una sola volta su ciascuna delle parti anteriori.
Di contro, l’Abito corto da signora esposto nello stesso ambiente - databile al 1930 ca., sempre in velluto di seta nero stampato in oro - testimonia un’altra scelta estetica della Gallenga: l’estrapolazione di piccoli, identici moduli decorativi da motivi antichi ripetuti sul tessuto in maniera seriale. Questa sala è una delle più interessanti e ricca dell’esposizione: oltre alle creazioni sartoriali propone una serie di opere notevoli. Intanto siamo introdotti nel mondo della famiglia Gallenga conoscendo Maria col suo Autoritratto (olio su tela, 1906) e col suo mezzobusto in marmo di Nicola D’Antino (1916-17); il marito Pietro e la figlia Valeria, invece, sono ritratti in olio su tela da Umberto Coromaldi (1920 ca.) e Ferruccio Ferrazzi (1920 ca.).
Sono esposte, inoltre, importanti opere di Duilio Cambellotti a cui è dedicata tutta una vetrina. Fra le tante spicca la preziosa edizione de Le favole di Trilussa (Edizioni Novisimi, 1920) per cui l’artista aveva realizzato i disegni per i fregi e le illustrazioni; ci sono poi il Vaso con cerve e il Vaso corvo e cavallo, entrambi bronzi ascrivibili agli anni 1903-6, la Mattonella con cavallo, di terracotta policroma degli anni 1910-12, il Vaso con rondini, in maiolica, del 1920 e la Coppa con mani, in gesso, del 1920.
Da non perdere, infine, i preziosi vetri di Vittorio Zecchin: vasi in vetro soffiato trasparente, in varie colorazioni: verde, celeste, ametista (1923-1925), una serie di cinque Bicchieri e un set di Bottiglia e bicchieri (tutti ascrivibili agli anni 1921-1923) anch’essi in vetro soffiato con decoro di fiori a smalti policromi.
Nella seconda sala è assoluto protagonista un sontuoso Abito da sera, in velluto di sera nero stampato in oro, inserito fra una tempera di Adolfo De Carolis (Angelo azzurro fra i cipressi, 1899), un poetico ricamo su disegno di Vittorio Zecchin (Le stelle della sera,1919) e un arazzo sempre di Zecchin (Donne e pavoni, 1920 ca.).
Poco lontano è situato il Portafiori a forma di alberello di fico di Alberto Gerardi e Vittorio Zecchin opera in ferro battuto e piatto in vetro trasparente ametista del 1920.
Su una parete due xilografie di Ettore Di Giorgio: L’oiseau vert e La piccola Leda, entrambe del 1920-1921. Sempre in questo ambiente sono esposte altre opere in ferro battuto di Alberto Gerardi, il Candelabro francescano, 1920-23 e l’Applique francescana del 1920-23, insieme alla Lucerna di Ezio Roscitano del 1924 e alla Figura femminile del 1915, di Nicola D’Antino.
Nel lungo ballatoio che conduce alle altre sale si susseguono una serie di figurini - databili tra il 1918 e il 1925 - realizzati in gran parte da Vittoria Morelli, ma anche da Otha e da Thayaht, tutti di proprietà degli Archivi delle Arti Applicate Italiane del XX secolo.
È questa la testimonianza di come l’Atelier della Gallenga - affermandosi sempre più a livello nazionale e internazionale - abbia avuto bisogno di numerosi collaboratori.
Nella terza sala un Taglio di tessuto per cappa (velluto azzurro stampato in argento, 1920 ca.) e un Abito da sera (velluto di seta stampato in argento, 1925-30) sono mescolati ad opere ugualmente importanti come due mosaici di Vittorio Zecchin, realizzati dalla Società italiana arte musiva dal 1919 ca. e l’arazzo dei Re magi (1919 ca.) “che camminano nella neve andando verso il cielo blu”.
L’arazzo piaceva così tanto alla Gallenga da proporne l’acquisto alla figlia Valeria in una lettera scritta da Parigi: “…lo vorrei non per venderlo ma per noi. È uno dei più belli.” E così fu: l’opera è rimasta sempre nella collezione di famiglia. Tra le altre opere in sala opere poste a confronto La corazza, in bronzo del 1918 di Duilio Cambellotti e la Lampada a forma di alberello di pioppo di Alberto Gerardi in ferro battuto e vetro del 1921 ca..
Un Mantello da sera (1920-1928), in velluto di seta blu con ricami in oro, accostato a un Pannello in velluto azzurro ricamato in argento (1925 ca.) sono inseriti nell’ultima sala fra due teche.
Una contiene le piccole statue in legno di frutto di Vincenzo Cadorin (1918) che ritraggono Maria Monaci e la figlia Valeria, l’altra il Vaso in grés salato dipinto in blu di Galileo Chini del 1919-20, la Ciotola con scoiattolo di Renato Cellini, in terracotta dipinta e invetriata del 1926, il Putto con zucca di Alfredo Biagini in maiolica del 1920-22. Questo gruppo di opere è fronteggiato da una Giacca da uomo (velluto di seta stampato in oro,1925 ca.) posto fra altre bacheche con opere di Vittorio Zecchin (Coppa degli aironi, Coppetta con scarabei e Coppetta con fiori, vetro ametista con decori in oro e smalti policromi, 1919 ca.), Giovanni Prini (Primavera, ceramica policroma, 1921; La rondine, terracotta, 1918), Eleuterio Riccardi (Ritratto di bimba, bronzo, 1920 ca.), Antonio Maraini (L’attrice che si mette la maschera, gesso policromo, 1921).
Un’ultima teca propone una Tovaglia in mussola bianca ricamata, su disegno di Vittorio Zecchin, dai Laboratori di Pia Valmarana (1923-1927) e gli stampi in legno d’abete (1921-1923) che illuminano sulla tecnica di riproduzione del disegno di un ricamo su tessuto.
I documenti d’Archivio
Una menzione particolare meritano le vetrine con una selezione di circa ottanta documenti dell’Archivio delle Arti Applicate Italiane del XX Secolo, che sono stati il movente stesso della mostra: fotografie, lettere, ritagli di quotidiani, riviste ed altro ancora. Carte un po’ “spiegazzate”, pagine un po’ ingiallite ma - nello stesso tempo - fonti primarie e imprescindibili per la ricostruzione della storia e del contesto che vide protagonisti Maria Monaci Gallenga e la sua cerchia di artisti.
Fra i più significativi: le pagine de «La Fiaccola» (n. 3-4, marzo - aprile 1919) che ritraggono Maria Monaci Gallenga mentre indossa alcuni dei suoi abiti o quelle di «Emporium» (n. 314, febbraio 1921) che riproducono alcuni dei lavori di Duilio Cambellotti, Alberto Gerardi, Vittorio Zecchin - artisti ben rappresentati in questa mostra - esposti nella galleria di Via Veneto.
Interessanti anche le foto dello stand Gallenga all’Exposition Internationale des Arts Decoratifs (Parigi, 1925) o quella di Marga Sevilla - moglie di Giulio Aristide Sartorio - che indossa un abito di Maria Monaci Gallenga (1925 ca.).
È ben rappresentata poi la storia della Boutique Italienne, inaugurata a Parigi nel 1926, con il suo prezioso Album-catalogo, con le foto di alcune opere in vendita in quella sede, con una pagina da «Vogue» (ottobre 1929) che la pubblicizza con un accattivante messaggio: “L’art décoratif créé par les meilleurs artistes de l’Italie d’aujourd’hui vous sera révélé par une visite à la Boutique Italienne”.
I ritagli da quotidiani nazionali ed esteri di quegli anni (1920-1930 ca.) come «Il Giornale d’Italia», «La Tribuna», «Il Piccolo», «The Christian Science monitor», «The Daily Mirror» - solo per citarne alcuni - attestano l’interesse suscitato da Maria Monaci Gallenga e il vivace dibattito che le ruotava intorno.
E qui termina la mostra le cui opere più tarde risalgono al 1930. D’altra parte con la chiusura della Boutique Italienne nel 1934 e il definitivo rientro in Italia della Gallenga inizia il tramonto della sua stagione creativa, accelerata anche da una sempre più aggressiva presenza del regime nel settore della moda e dai venti di guerra. Con eleganza, quasi in sordina, cala il sipario sulla sua avventura. Una storia di donne, quella di Maria Monaci Gallenga, di quelle volitive e indomite che vanno dritte al punto.
indirizzoViale delle Belle Arti 131, Roma
accesso per i disabili
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