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Le storie di Giuseppe: una palestra per la nuova Arazzeria Medicea 17/10/2015 - Elena Paloscia

Il ciclo di arazzi voluto da Cosimo dei Medici nel XVI secolo, storia, restauri e scoperte su questi preziosi manufatti esposti per la prima volta in mostra insieme dopo oltre 130 anni.

Una mostra itinerante

Quando un grande personaggio decide di passare alla storia, non può esimersi dall’essere al passo con i tempi anche in campo culturale, specialmente nella Firenze Rinascimentale. Così Cosimo I dei Medici costruisce, a partire dal 1540, il proprio mito anche attraverso la creazione di una manifattura di arazzi a Firenze cui affida il ciclo con le storie di Giuseppe, un alter ego perfetto per rappresentare una nuova era.
L’occasione per rivederli insieme è una mostra itinerante tra Roma, Milano e Firenze, realizzata in occasione di EXPO 2015, che riunisce, per la prima volta dopo molti anni, l’intero ciclo dei 20 arazzi conservati in parte a Firenze e in parte al Quirinale. Si tratta di un’occasione straordinaria non solo per ripercorrere le vicende del Granducato ma anche per scoprire, grazie ad accurati studi ed analisi degli arazzi restaurati in parte dall’opificio delle pietre dure e in parte dal laboratorio di arazzeria del Quirinale, quanto la storia materiale dei manufatti artistici sia legata alle vicende politiche e sociali, per capire come nel tempo siano cambiati il concetto di conservazione e l’uso di questi capolavori del tessile. È proprio grazie al ricco catalogo pubblicato da Skira in occasione della mostra che è possibile conoscere gli interessanti dettagli di un lavoro durato decenni.

Anche Firenze deve avere la sua Arazzeria

Insediatosi nel 1540 e sposato da poco con Eleonora di Toledo, Cosimo I è un sovrano dal gusto internazionale che decide di dare una nuova veste al Palazzo della Signoria (Palazzo Vecchio), progettando per la sala dei Duecento un allestimento “concepito come si trattasse di una sala del trono”. Cosimo sceglie il tema, lo stile e gli artisti, che fa arrivare da lontano con il preciso obiettivo di creare, in concorrenza con le altre corti europee, una manifattura fiorentina. Come un grande ciclo murale, così i 428 mq di panni per la Sala dei Duecento si estendono per quasi il doppio rispetto agli arazzi realizzati da Raffaello per Leone X.
Sono proprio le decorazioni della scuola di Raffaello per i pontefici Medici, in cui la storia antica è allegoria della situazione politica contemporanea, ad ispirare il granduca. Il tema delle storie di Giuseppe dovrà celebrare il nuovo corso avviato da Cosimo ed esaltare la sua potenza, ricchezza e raffinatezza.  È questa la genesi dei venti arazzi monumentali che, sospesi tramite anelli, scendevano morbidi con le loro monumentali figure e che, secondo ipotesi recenti, sembra avvolgessero tutte le pareti della Sala dei Duecento, coprendo persino le finestre.

 

La scelta degli arazzieri fiamminghi e le manifatture fiorentine

Le principali corti europee e italiane avevano creato manifatture locali con maestri fiamminghi. Anche Cosimo I decide allora di formare delle proprie maestranze, in grado di interpretare al meglio gli stilemi rinascimentali, chiamando dalle Fiandre i maestri Nicolas Karcher, che aveva lavorato a Ferrara e a Mantova, e   Jan Rost.

Cosimo intende avviare un moderno sistema con una gestione mista pubblico-privato che prevede investimenti del Duca, che paga le materie prime rigorosamente locali, e i maestri, che a loro volta devono occuparsi dei compensi dei propri collaboratori. Un contributo economico proveniva inoltre anche da altri committenti-clienti esterni della famiglia ducale. Questa concezione imprenditoriale della manifattura nella Firenze rinascimentale produce benefici economici, favorisce la valuta locale e lo sviluppo dell’occupazione.

Karcher e Rost avevano due laboratori siti in luoghi differenti, il primo in via dei Cimatori, una zona dedicata alla lavorazione della lana; Rost, invece, aveva il laboratorio presso il Giardino di S. Marco, area che al tempo di Lorenzo il Magnifico era una zona artigiana in cui si trovavano numerose officine scientifiche come la distilleria, la vetrerie e la farmacia, opifici che fecero da modello all’arazzeria.

 
Dall’idea al tessuto - Un lavoro di squadra

Grazie ai lavori di restauro degli arazzi, il ciclo, con i disegni e i cartoni, è stato studiato in maniera estremamente approfondita sia per quanto concerne gli aspetti ideologici, sia per gli aspetti tecnici.

Certamente ciò che emerge è come la qualità complessiva di questo lavoro sia il frutto di un insieme di competenze, a partire dal progetto iconografico, per arrivare all’uso innovativo di alcune scelte tecniche derivate talvolta proprio dalla necessità di tradurre in tessuto il disegno dei maestri fiorentini. Come a Fontainebleau, anche in questa occasione gli artigiani fiamminghi saranno in grado di interpretare “l’abilità spaziale e concettuale” dei maestri fiorentini e in particolare di Bronzino, che “utilizza colori rari e inconsueti e li rende competitivi con la pittura”. Nel complesso questo ciclo si distingue dagli arazzi fiamminghi proprio per la scelta di creare composizioni meno corali, con figure monumentali e più isolate.
Oltre al programma iconografico delle storie di Giuseppe, per cui rimandiamo ad una lettura del catalogo, è interessante osservare come anche le parti decorative come le bordure ornamentali abbiamo avuto un ruolo molto importante in questo lavoro, come emerge dal saggio di Loretta Dolcini, direttrice dei lavori di restauro. Si scopre così che le bordure, disegnate da Bronzino che si è ispirato ai prototipi nordici acquistati da Cosimo e composte da corbezzoli, melagrane, cetrioli, melone e lumia ma anche da altre figure animali e antropomorfe, costituiscono un complesso apparato simbolico, in parte ermetico, che viene spiegato come “l’elaborazione di un nuovo mito nazionale dello stato toscano”. Separano il passato dal presente conferendo unità visiva alle scene disegnate da mani diverse. Le parti vegetali rappresentano l’abbondanza e la prosperità portata da Giuseppe e metaforicamente quindi da Cosimo.

Conoscere per conservare

A causa dello smembramento del ciclo diviso in due tra palazzo Pitti e il Quirinale dai Savoia, che li portarono a Roma nel 1882, gli arazzi sono stati restaurati in momenti diversi, rispettivamente dall’Opificio delle pietre dure di Firenze (tra il 1983 e il 2012) e dal Laboratorio di Restauro del Quirinale.
Oltre ai restauratori responsabili e ai loro diretti collaboratori, ha partecipato a questo grande lavoro di recupero anche una ampia squadra di collaboratori esterni, tra ricercatori e tecnici, che a Firenze hanno affrontato ogni genere di problematica e di ricerca preliminare.  Si ricordano in proposito la preparazione dei materiali, la tintoria, la tessitura delle nuove cimose, le ricerche sulla modalità di pulitura in acqua, lo studio delle fibre e dei filati, delle sostanze coloranti e dei metodi di tintura, l’individuazione dei materiali per il consolidamento, la progettazione e la realizzazione delle attrezzature. Le conoscenze della prima fase del restauro avvenuta a Firenze sono state un prezioso riferimento anche per l’Arazzeria del Quirinale, che dal 1995 al 2012 ha potuto effettuare le ricerche ed il lavoro vero e proprio sulla base di un metodo consolidato nell’arco di oltre venti anni.

 

I danni del tempo

I problemi da risolvere per procedere al restauro degli arazzi erano sostanzialmente analoghi. Tra i principali, i danni causati dall’esposizione continuata, dalla luce, dall’umidità e dal fumo; le lacerazioni orizzontali nella parte superiore, date dalle sollecitazioni dovute al peso che questi panni appesi in verticale esercitavano sulla tessitura; la perdita della cromia indotta dall’usura e dai numerosi spostamenti subiti durante i viaggi; le lesioni dovute a incidenti come incendi e crolli; la rimozione con forbici e bisturi di inserti invasivi e pesanti realizzati nel corso di precedenti restauri e, naturalmente, il ripristino di parti mancanti necessarie ad una corretta lettura dell’opera con filati resistenti ma omogenei ai fragili filati antichi.

 
L’abilità artigiana sorprende i restauratori

La pulitura effettuata con soluzione acquosa ha consentito di rimuovere l’ossidazione dei filati metallici d’argento e d’argento dorato che splendevano con l’illuminazione e ha portato alla luce gli splendidi colori manieristi con i complementari accostati. Le tinte originali non deteriorate sono state scoperte anche sul retro, a seguito della rimozione delle fodere, là dove il colore, eccetto purtroppo il viola, era rimasto inalterato da luce e sporco. Le cromie infine, sono emerse anche in alcuni frammenti delle cimose originali delle cornici marrone scuro degli arazzi, ripristinate con i restauri, che costituivano un marchio di fabbrica e proteggevano il perimetro dei panni. Nel procedere all’integrazione degli ornati, per restituire l’unità visiva, ma anche nelle figure stesse una nuova sorpresa coglie i restauratori: la presenza di rigonfiamenti (gafourage) hasvelato incongruenze nella tessitura dovute alla necessità per il maestro artigiano di ottenere gli stessi effetti, dettagli, chiaroscuri e sfumature, suggeriti dall’artista. Nascevano così nuove soluzioni tecniche tra cui, ad esempio, “aggiunte di altri orditi su cui avvolgere le trame di nuovi colori necessari per realizzare sfumature più minuziose”. Gli studi hanno consentito anche di scoprire come Karcher sia stato in grado di ottenere effetti di virtuosismo e morbidezza sfruttando tutte le possibilità della tecnica e restituendo la profondità spaziale propria dei disegni e dei cartoni, mentre Rost si sia limitato alla creazione di chiaroscuri più definiti e a restituire le aree di colore secondo un’impostazione più schematica.

Interazione tra pubblico e privato

I restauri, la mostra e il catalogo, sono il risultato del contributo di molti sostenitori e sponsor, come Expo e Fondazione Bracco, e di sponsor come Gucci e Acea. Tra i sostenitori segnaliamo in particolare l’impegno della Fondazione Bracco, che già dal 2011 ha un rapporto privilegiato di collaborazione con la Presidenza della Repubblica e che da anni sostiene eventi legati alla tutela e alla valorizzazione delle arti e della scienza che, mai più che in questo caso, sono straordinariamente legati. L’arazzo e la tessitura, ma anche l’arte del restauro, sono tra gli esempi più alti di arte applicata, vere eccellenze del saper fare italiano che garantisce prestigio e favorisce la diffusione della conoscenza, contribuendo in modo sostanziale ad elevare lo standard qualitativo della vita e a promuovere, come afferma Diana Bracco nella presentazione in catalogo, la “coesione sociale”.

 
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Elena Paloscia
10/10/2017
Storica dell’arte e curatrice indipendente si è laureata in Storia dell’Arte Moderna all’Università “La Sapienza di Roma. Ha frequentato un corso di Perfezionamento in Museografia presso il [...]
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