Dall'incontro tra un maestro del vetro e una performer è nato il duo artistico Penzo+Fiore capace di mettere in dialogo un'antica tradizione artigianale con i linguaggi più attuali dell'arte contemporanea, per indagare alcuni grandi temi concettuali che riguardano l'uomo di oggi - la fragilità in primis - a partire da se stessi e dal materiale prescelto.
Si chiamano Andrea Penzo e Cristina Fiore, vivono e lavorano nella Laguna di Venezia in uno studio incastonato proprio nel cuore dell'isola del vetro, Murano, dove hanno allestito anche una sede per la loro associazione culturale Cantiere Corpo Luogo.
La loro attività di artisti, indissolubile come coppia da quasi dieci anni, si è snodata attraverso numerose esperienze installative e performative, fino a giungere all'arte relazionale e alla recente ri-connessione con le radici da cui tutto era partito: il materiale vetro.
Andrea, come ti sei avvicinato al vetro e come è nata l'idea di ripensare questo materiale in chiave contemporanea?
Sono nato e cresciuto a Murano, perciò, come per la maggior parte delle persone originarie dell'isola, per me il vetro è un’esperienza indissolubilmente legata alla mia vita sin da quando ero bambino. Io credo di essere una persona contemporanea, perciò sento la necessità di esprimermi usando un linguaggio attuale. Allo stesso tempo riconosco che l’essere cresciuto in quest’isola pervasa dalla tradizione mi ha condizionato profondamente.
Dopo aver assimilato le tecniche della produzione del vetro, ho capito che il materiale in sé toccava l’apice della sua forza espressiva a prescindere dall’abilità e dall’estetica. Mi sembrava che la capacità del vetro di dare visibilità ad un oggetto, e allo stesso tempo di isolarlo, fosse straordinaria e non sempre riconosciuta.
Nonostante la tecnica e la sperimentazione del materiale mi interessino molto, non sono alla ricerca del puro virtuosismo. Non voglio con questo misconoscere una tradizione ormai consolidata, tradizione e contemporaneità semplicemente convivono nel mio lavoro.
Quest’unione porta ad un conflitto che si consuma nella stessa fucina creativa da cui emergono, a volte in modo discontinuo, a volte violento, i miei lavori. Le mie installazioni e le mie performance prendono forma a partire da questo ambiente.
L'incontro con Cristina è stato poi la chiave di volta per rendere definitivo questo percorso. Come sono cambiate le cose?
All'inizio abbiamo sentito la necessità di abbandonare quasi completamente il vetro per indagare nuove possibilità insieme. Gli anni dal 2009 al 2016 sono stati anni di sperimentazione in cui i linguaggi della performance e dell’installazione si alternavano alla curatela e ai progetti artistici relazionali. Nel 2016 poi il ritorno al vetro è arrivato come una rivelazione: il guardare ad un materiale che è tornato ad essere sconosciuto, e farlo raddoppiando lo sguardo.
Il vetro è diventato un affare concettuale, completamente. Adesso vediamo la tradizione come una sorta di stabilizzatore, non tanto un impedimento quanto una zavorra che ci aiuti a tenere la rotta. La fragilità diventa un concetto fondamentale, la cura e l’attenzione che il materiale impone sono sintomo di schiettezza, di sincerità. La mia tecnica primaria di lavorazione è quella del lume, ma la collaborazione con Berengo Studio ci permette la realizzazione di diversi pezzi in fornace, insieme ai maestri che gravitano intorno a lui.
E tu invece Cristina come ti relazioni con l'elemento vetro? Come siete riusciti a renderlo “performativo”?
Grazie soprattutto all'arte relazionale e all'attivazione di situazioni di dialogo e confronto diretto tra persone che gravitano attorno all'ambiente del vetro e dell'arte contemporanea qui in Laguna, quindi altri artisti, curatori, studiosi, professionisti. Più che di performance in senso stretto si tratta di incontri informali, generatori di possibilità e di idee che si concretizzano in seguito nella realizzazione di opere, ma soprattutto nel consolidamento di rapporti di scambio umano e intellettuale.
Uno di questi ultimi incontri è stato “Murano Magma” che si è tenuto lo scorso giugno al Teatrino di Palazzo Grassi a Venezia. Il tema sempre vivo è quello del confronto tra arte contemporanea e arte del vetro, il dialogo tra un materiale che ha raggiunto livelli di perfezione eccelsi, ma che non sempre è in grado di concepire il portato problematico e vivo del presente.
PENZO+FIORE Biografia
Penzo+Fiore, duo artistico dal 2009, vivono e lavorano a Venezia.
Prima della formazione del duo, Andrea Penzo, nato a Murano 1969, inizia il suo percorso nel mondo del vetro, insegnando in Italia e in America, partecipando a mostre nazionali e internazionali che sfociano, nel 2005, nella residenza artistica “La cheba dei matti” nell’isola di San Servolo, progetto curato da Irene Calderoni in collaborazione con La Biennale di Venezia, Fondazione Querini Stampalia, Fondazione Bevilacqua La Masa e Scuola del vetro Abate Zanetti. La residenza sancisce l’ingresso di Penzo nell’arte contemporanea.
Nel 2009, anno dell’incontro con Cristina Fiore, nata a Oderzo nel 1979, si innesta nel suo percorso quello seguito precedentemente da lei nel mondo del teatro. Laureata a Ca’ Foscari in letteratura contemporanea e preso il Master in Comunicazione e linguaggi non verbali, psicomotricità, musicoterapia e performance, Fiore consolida la strada del teatro intrapresa fin da giovanissima, seguendo l’approccio antropologico e di ricerca insito nelle esperienza fatte con Antonio Attisani, il Théâtre du Radeau di Le Mans e il Teatro Nucleo di Ferrara.
Come duo Penzo+Fiore si confrontano con la necessità di trovare un linguaggio comune attraverso un vasto numero di esperienze. A questo periodo, durato fino al 2016, appartengono gli anni berlinesi, le azioni di riqualificazione territoriale a Forte Marghera (Venezia), i primi risultati di scrittura a quattro mani e le prime collaborazioni con il Berengo Studio usando il vetro, che però in questa fase non è il materiale preminente.
Dal 2016, con la mostra "Disordine rigido" alla Fusion Art Gallery di Torino, Penzo e Fiore tornano al vetro come duo. Il loro obiettivo è quello di darsi un limite espressivo in grado di porre alla base delle proprie indagini il concetto di fragilità insito nel materiale stesso. Uscendo dalla logica dominante del vetro muranese che predilige l’estetica e la forma al concetto, Penzo+Fiore ne sovvertono i canoni utilizzando tanto vetro di Murano quanto vetro industriale, in parte lavorato direttamente e in parte semplicemente scelto e risemantizzato come oggetto ready made.
La nuova direzione porta gli artisti ad importanti risultati: la mostra "Glassfever" a Dordrecht, in Olanda; "Lux-Lumen" con Fondazione Berengo per la conferenza annuale della Glass Art Society a Murano; la realizzazione, presso il Teatrino di Palazzo Grassi, della conferenza "Murano Magma"; la presenza all’interno di “Una vetrina”, evento in collaborazione con MAXXI Roma; la partecipazione alla mostra "Brain tooling" di Dolomiti Contemporanee; l’ingresso alla Galleria Massimo de Luca di Venezia-Mestre.
Caratteristica del duo non è tanto una ricorrenza di tematiche, seppure presente nel loro lavoro, quanto un metodo di apprendimento/assimilazione di questioni strettamente legate alla natura dell’uomo e al contesto a cui si rapporta, che fa costantemente indagare il presente non solo con uno sguardo intimo e personale, ma anche attraverso la creazione di dispositivi di confronto e scambio di saperi con professionisti dei settori di volta in volta ritenuti utili a sviscerare i temi da affrontare, o attraverso il coinvolgimento di attori delle comunità di riferimento.
Linguaggio fondante del duo Penzo+Fiore, tutt’ora praticato e insegnato, è quello performativo. La performance, ancor più delle pratiche installative e relazionali, mette al centro l’essere umano nella sua fragilità e necessità di relazione.
http://www.penzofiore.it/
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