INCURSIONI D'ARTE
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Jacob Hashimoto. Costruzioni e memoria 20/10/2013 - Elena Paloscia

Noto per le sue spettacolari installazioni, l’artista nippo-americano Jacob Hashimoto, classe 1973, cresciuto e vissuto negli Stati Uniti, è espressione di quel sincretismo culturale che anima la ricerca delle nuove generazioni. Usa indistintamente elementi realizzati con le più moderne tecnologie o moduli realizzati a mano con un lungo e paziente lavoro di creazione e montaggio. Ci tiene a precisare che la sua produzione non è unicamente espressione di una tensione verso le proprie origini, quanto di una ricerca ed un esplorazione dello spazio in cui si ritrovano elementi asiatici, ma non necessariamente provenienti dal Giappone.

Le sue creazioni sono orientate verso la messa in scena di “paesaggi della mente”, hanno le proprie radici nella tradizione della grande arte astratta statunitense. La creazione di moduli, come gli aquiloni interamente fatti a mano dall’artista, decorati con collage e colori acrilici, o utilizzati con il colore originale delle carte scelte, è solo un primo passo verso la ricerca di una costruzione spaziale eterea e complessa in cui coinvolge il fruitore con leggerezza e genera atmosfere incantate in cui trasparenze e cromie si fondono con l’ambiente circostante.

I diecimila aquiloni in bambù realizzati a mano ed esposti nell’installazione “Gas Giant”, ad esempio, alla fondazione Querini Stampalia a Venezia in occasione della Biennale 2013 sono solo una delle creazioni che l’artista realizza ponendosi in relazione con lo spazio e saturandolo. La nostalgia, il sentimento per l’infanzia e per la natura, si colgono nella reiterazione di un fare, la creazione degli aquiloni, appreso sin da piccolo: un filo rosso, quasi confortante, che lo unisce al presente. Un presente che è proprio il frutto di una capacità di elaborare ed assimilare mediante un linguaggio sintetico motivi e modelli di stampo europeo, legati alla tradizione della costruzione degli aquiloni, fondendoli con elementi grafici di tipo panasiatico, provenienti dalla Cina e dalla Thailandia.

Unica concessione al Giappone: le carte di riso e la Washi. In questa sua capacità di assimilare e di contaminare culture differenti, si rivela la sua vera natura made in Usa: una visione ampia, in cui non teme l’accumulo, la saturazione. Questa sua scelta, dettata dalla necessità di avere una grande quantità di manufatti per creare strutture di natura architettonica, che definisce “delle sculture che sembrano dipinti e che avvolgono lo spettatore visivamente”, è occasione di confronto per chi guarda tra “unità e il frammento”: il singolo aquilone, con la propria identità e la folla in cui è inserito, costituisce un ‘unità, e al tempo stesso, la differenza nell’unità.

 

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Elena Paloscia
10/10/2017
Storica dell’arte e curatrice indipendente si è laureata in Storia dell’Arte Moderna all’Università “La Sapienza di Roma. Ha frequentato un corso di Perfezionamento in Museografia presso il [...]
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