ITINERARI
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Lo stivale d’argilla. Itinerari della ceramica in Italia. 20/09/2013 - Elena Paloscia

Da semplici stoviglie a preziosi oggetti d’arte, da piastrelle dall’aspetto rudimentale a grandiosi rivestimenti per edifici e ambienti ricchi e sfarzosi, così l’arte ceramica in Italia, diffusa quasi in ogni regione grazie a territori ricchi di argilla si è sviluppata, spesso con un andamento frammentario che, come per le altre arti, rispecchia una pluralità di esperienze e di culture che hanno contribuito alla creazione di grandi tradizioni in molti paesi e città della penisola.
Non a caso il nostro itinerario ha inizio dalla lavorazione della terra, nelle sue molte forme. Una tradizione antichissima testimoniata nei maggiori centri italiani dai ritrovamenti archeologici. Ancora oggi in alcuni luoghi le antiche tradizioni, come ad esempio quella etrusca dei buccheri, vengono riscoperte e valorizzate.

Non meno importante per lo sviluppo dei centri di produzione della ceramica è la loro posizione geografica, che il più delle volte vede questi centri svilupparsi su importanti direttrici commerciali. Da nord a sud l’Italia è ricca di tradizione ceramica che talvolta si è trasformata in vera e propria attività industriale, ma spesso, grazie agli enti locali, ai centri di formazione come le scuole d’arte e ai Musei dedicati e alla rivalutazione dell’artigianato, divengono eccellenze famose in tutto il mondo.
Il percorso qui suggerito intende essere solo una breve ricognizione cui seguiranno contributi più dettagliati e approfondimenti sui singoli luoghi. Luoghi in cui il tempo si è fermato per lunghi anni e centri in cui il ricambio generazionale e un forte impegno culturale danno vita a nuove forme espressive. Spesso la ceramica d’arte e la produzione quotidiana procedono per due strade parallele altre volte la ricerca e il design contemporaneo fanno la differenza.


In Piemonte i principali centri in cui si lavora la Ceramica sono Mondovì in provincia di Cuneo, paese in cui questa attività si è sviluppata all’inizio dell’Ottocento e Castellamonte. A Mondovì c’è, fin dall’Ottocento, la "Vecchia Mondovì", una produzione ceramica di oggetti d’uso quotidiano con paesaggi, frutti, elementi floreali, decorazioni geometriche e animali domestici resi mediante un tratto rapido e tocchi di colore brillante. L’ammirazione per la produzione inglese di Wedgwood ha generato in particolare la produzione di oggetti d’arredo come statuine di animali domestici. Mentre da un lato si afferma la tecnica raffinata del Nériage, con la quale si ottengono effetti policromi impastando argille differenti, dall’altro sono l’aerografo, la decalcomania e i timbri le tecniche per una produzione seriale che nel corso del Novecento soppiantano il lavoro artigianale oggi ampiamente rivalutato.
Le stufe, i comignoli e le decorazioni parietali nella tipica terracotta rossa locale hanno reso famosa nell’Ottocento un’altra località del Piemonte: Castellamonte, la città dei pignattari. La città ha trovato la propria identità in questo genere di produzione divenendo sede di importanti manifatture che attualmente, dopo la crisi del secolo scorso, recuperano una tradizione di grande fascino.

In Veneto i centri di produzione ceramica più interessanti sono Nove e Bassano del Grappa in provincia di Vicenza ed Este in provincia di Padova. Nove, città delimitata ad oriente dal fiume Brenta, è divenuta centro di attività manifatturiere ceramiche a partire dal Settecento quando Venezia incentivò la produzione dei propri territori al fine di ridurre le importazioni.
La tradizione ceramica è testimoniata dalla decorazione in maiolica della piazza antistante al Museo. Alla  ceramica tradizionale che si distingue per il marchio "FIORI NOVE”, riconoscibile per una ricca composizione floreale barocca generalmente dipinta dal vero, il cui fiore principe è la rosa e che ebbe il suo periodo di maggior successo nell’Ottocento, tra il 1860-1865 si affiancò un altro genere, definito artistico o aulico o Neorococò. Anche Bassano del Grappa sotto il dominio della Serenissima si è sviluppato come importante centro manifatturiero per la ceramica, il ferro, il rame, la tessitura di lana e seta e l’oreficeria. La produzione di questo periodo si distingue per la finezza dell’impasto, la ricchezza del decoro e la brillantezza dello smalto. Applicate ad una grande varietà di oggetti tra cui vasi, boccali, scodelle, calamari, bottiglie, “sorbetti”, “pignati”, piatti da “capon”, sottocoppe, “squelin da caffè”, e orinali. Da non perdere è la caratteristica produzione dei vasi da farmacia, orcioli e albarelli a rocchetto decorati in monocromo azzurro, fasce con festoni di fiori e foglie. Nello stile “aulico” o “neorococò”, si assiste ad un’accentuazione dei motivi ornamentali plastici e di scene veristiche e motivi floreali dipinte.
Ad Este, giunge intatta sino ai nostri giorni la tradizionale la terraglia (detta anche faenza fine o terra da pipe) si ispira a quella inglese, di colore giallino, detta Queen's Ware, inventata da Giosia Wedgwood nel 1751. Oltre alla produzione di oggetti d’uso si è sviluppata anche una produzione artistica che ha visto creazione di forme e di cromie nuove.
È celebre la maiolica nera ("roba nera lustra"), più economica prodotta soprattutto per i conventi e per i militari. Oltre a piatti, boccali sono caratteristici gli scaldini, le "foghere" (piccole stufe) e i vasi ornamentali, talvolta decorati anche con l'oro.
Anche il Lombardia, a Lodi il XVIII secolo rappresenta il periodo aureo per la ceramica che aveva un’antichissima tradizione e che è possibile vedere negli ornati in terracotta e nelle architetture medievali.
Le semplici terrecotte ingobbiate e sgraffite del Rinascimento, con soggetti popolareschi e colori base metallici come il verde il bruno e il blu, cedono il passo a decorazioni in verde ramina, bruno di manganese, blu, zaffera, giallo antimonio e ferraccia. Successivamente per l’esportazione vengono sperimentate nuove tecniche di decoro (il piccolo fuoco) con raffinatezze barocchette.

In Liguria Albisola superiore e Albissola marina sono i centri più rinomati per la ceramica artistica il cui successo è testimoniato dalla presenza di numerose fornaci che sorgevano un tempo sulla spiaggia.
Molte le tipologie stilistiche tra cui lo stile calligrafico o naturalistico, di derivazione cinese risalente al XVII secolo, l’antico Savona o Bianco e Blu, Uccelli e prezzemolo, il decoro Boselli, la Ceramica Nera e la ceramica gialla, lo stile Art Déco 1925 e quello futurista. Da non perdere la "Passeggiata degli Artisti", un lungomare unico costituito da una serie di oltre 20 pannelli in mosaico di tesserine di pasta vitrea colorata, che creano un percorso calpestabile. Queste opere sono state realizzate tra gli anni ‘50 e ‘60 da alcuni degli artisti più noti del tempo. Ancora oggi le botteghe e le associazioni promuovono questa antica arte organizzando corsi e dimostrazioni pratiche del lavoro.

In Toscana la tradizione ceramica è ancora oggi fiorente e ampia. Impruneta è un centro strategicamente collocato sulle vie commerciali che portano da Firenze ad Arezzo, nota per la produzione di una ceramica di qualità, presente fin dall’epoca rinascimentale periodo in cui furono realizzati elementi decorativi di arredo urbano e suburbano, nonché tabernacoli devozionali posti all’incrocio delle strade, la cui manifattura costituì una delle principali attività artistiche dei maestri fornaciai imprunetini. Anche Montelupo Fiorentino, a soli 15 chilometri da Firenze, a partire dal 1300 diviene nel Rinascimento uno dei centri più attivi producendo non solo suppellettili quotidiane ma generi di lusso, come la zaffera a rilievo; i maestri artigiani guardano inoltre alle produzioni arabe provenienti dalla Spagna realizzando oggetti con motivi rinascimentali, fiori gotici, l’occhio della penna di pavone, la palmetta persiana. La produzione colta che si è sviluppata nel Seicento conduce alla realizzazione dei celebri “Arlecchini” e di una produzione popolare con scene di vita e sogni quotidiani, preti e briganti, musici e armigeri, donne e cavalieri.
Già attiva dal punto di vista della manifattura in epoca antica Sesto Fiorentino, centro sulla via Cassia, è la patria della celebre manifattura Ginori, fondata nel 1737 cui diede un ‘impronta decisamente innovativa negli anni '20 e '30, la direzione di Giò Ponti. Nel secondo dopoguerra, proprio come conseguenza della crisi dell’industria, la produzione artigianale ebbe nuovo impulso.

In Emilia è Faenza la città che sin dal Medioevo si è costruita la sua celebrità creando manufatti in stile gotico ed orientale prima e poi specializzandosi nella ceramica istoriata con temi rinascimentali e pezzi frutto di una nuova sperimentazione denominati i bianchi. Da non perdere il Museo Internazionale della ceramica che raccoglie pezzi di ogni epoca e provenienti da tutto il mondo.

Nelle Marche Ascoli Piceno, Urbania (l’antica Casteldurante) e Pesaro sono i centri in cui l’arte ceramica si è sviluppata. Ascoli Piceno, la città monumentale dalle cento torri, ha una tradizione ceramica la cui origine è controversa fatta solitamente risalire al Settecento per via dei monaci olivetani di Sant’Angelo Magno anche se probabilmente molto più antica. Oltre a paesaggi di gusto nordico caratteristici della manifattura ascolana sono i motivi floreali, con le rose e fiori di campo, e temi classicheggianti per linee e soggetti e talvolta imitazioni dei marmi e delle brecce pregiate. Anche ad Urbania, sotto il dominio dei Montefeltro e poi del papato, si pratica l’arte ceramica fin dal Trecento grazie alla ricchezza di materie prime ed alla vicinanza della Via Flaminia.
Pesaro a partire dalla seconda metà del Quattrocento, diventa uno dei centri ceramici artisticamente più importanti e influenti. Nella prima metà dell’Ottocento la produzione è orientata verso la terraglia, bianca o marmorizzata, decorata a mano o a riporto, successivamente si specializza nella realizzazione di scaldini realizzati con impasti ceramici nuovi e decorati con tecniche differenti.
Nella seconda metà dell’Ottocento vi è un rinnovato interesse per la tradizione rinascimentale.
In Umbria la tecnica del lustro caratterizza le produzioni dei centri più noti: Deruta e Gualdo Tadino. Quest’ultimo è stato un centro commerciale di grande importanza nel Quattrocento. Sito a soli 50 km da Perugia è noto fino all’800 per le sue ceramiche, nell’Ottocento la ripresa della tecnica del lustro lo renderà celebre.
Deruta, la regina delle ceramiche a soli 15 km da Perugia, come testimoniano le fornaci ancor esistenti, si è sviluppata a partire dalla metà del '500 in un periodo di pace e di crescita economica e culturale. Dalla creazione di semplici suppellettili per uso quotidiano realizzate a tornio, la tecnica nel '400 si raffina: vengono creati di albarelli per uso farmaceutico e vasi con manici a torciglione. Scene di guerra, di caccia, soggetti amorosi ed allegorici e simboli araldici vengono raffigurati su importanti piatti "da pompa”.
con complessi motivi ornamentali. Nella seconda metà del 400 si diffonde l’uso della tecnica del lustro. 
A Gubbio, invece, la ceramica si sviluppa a partire dalla metà del XV sec. Ai numerosi vasai locali si associarono maestri forestieri (provenienti da Siena, Norcia, Borgo Sansepolcro, Teramo etc.), da questa interazione nascono i lustri rossi, argentei e dorati, ottenuti in terza cottura secondo la tecnica araba codificata dal Piccolpasso (chiamata "maiolica" e ora conosciuta come "lustro ad impasto" o "lustro metallico"). Le numerose botteghe artigiane contemporanee producono maioliche decorate in policromia, ceramiche ingobbiate e buccheri.
In Abruzzo le ceramiche di Castelli, costituiscono un’eccellenza di cui si ritrovano le tracce sul territorio: nella pala d’altare maiolicata nella seicentesca chiesa di S. Giovanni Battista e nella chiesetta di San Donato, dichiarata monumento nazionale per via del suo soffitto maiolicato, l’unico sia in Abruzzo che in Italia. Ala prima produzione di ceramica "ingobbiata e graffita", si affianca presto la più raffinata produzione maiolica. Nel Cinquecento, superata la fase di imitazione dei prodotti umbri i maestri artigiani di Castelli creano un personale repertorio sia iconografico che morfologico, per una committenza di alto livello.

Orvieto e Civita Castellana sono i centri ceramici più importanti del Lazio. Fiorente in età antica e nel Medioevo la ceramica ad Orvieto nel XII secolo si distingue per un repertorio iconografico – geometrico, naturalistico o araldico – spesso tratto da dettagli ispirati a particolari della fabbrica della Cattedrale. La caratteristica principale tuttavia sono le applicazioni a rilievo che integrano i manufatti. Tra il Seicento e l’Ottocento l’interesse per la ceramica passa in secondo piano rispetto a quello per la porcellana. Solo al principio del Novecento la ceramica tradizionale medievale viene riscoperta e rivalutata.
Sviluppata sin dal XII secolo la ceramica di Civita Castellana (Viterbo) si afferma e si diffonde nel XV e XVI secolo, ispirandosi alla produzione di centri più noti come Faenza e Deruta prima e poi, nel XVII secolo, alle forme e ai decori del tempo con particolare riferimento sempre a Deruta e a Savona. La velocità del tratto e l’inventiva dei maestri artigiani diede origine ad una produzione autonoma e concorrenziale sul mercato.

In Campania Cerreto sannita (Benevento) è un centro ceramico che si è sviluppato a partire dal Settecento. A Cerreto non si producevano solo le classiche stoviglie ma decorazioni plastiche per gli edifici. La grande Scuola delle Maioliche Cerretesi esportate in tutto il sud italia raggiunge l’apice della sua fortuna con lo stile barocco, i ceramisti si ispirano ai bianchi faentini o si dilettano in altri temi artistici utilizzando toni gialli, verdi, blu, zafferano; in blu i vasi di farmacia. Non mancano con il tempo le ceramiche ispirate alle cineserie, floreali e di influenza francese o quelle monocrome dai toni bruno-paonazzo su smalto grigio. Una visita all’abitato regala scorci di ceramiche più recenti ispirate al neoclassico e all’antico da scoprire su edifici civili e religiosi.
Vietri sul mare (Salerno) è un centro di antichissime origini etrusche ai piedi del monte San Liberatore. L’elegante cupola della chiesa di San Giovanni è emblema della sua tradizione di artigianato artistico che si è espresso soprattutto nella religiosità popolare, testimoniata dalle mattonelle votive diffuse in tutto il paese. La terracotta smaltata con cui venivano realizzati oggetti d’uso quotidiano era decorata con motivi ispirati al mondo pastorale che si caratterizzavano per tinte calde e mediterranee. Successivamente le decorazioni divengono più elaborate e i maestri artigiani si dedicano alla creazione di mattonelle per pavimenti dette riggiole. L’apporto di alcuni maestri stranieri nei primi decenni del Novecento dà nuovo impulso a quello che viene chiamato “Periodo Tedesco”.
Anche la vicina Cava dei tirreni è famosa soprattutto per la produzione di rivestimenti e pavimentazioni esportati in tutto il mondo. Di pregio anche l’oggettistica che, nei motivi decorativi geometrici o floreali, come negli effetti cromatici, si ispira alla tradizione ed all'arte della maiolica campana.
Ariano Irpino (Avellino), tra Campania e Puglia, vanta una tradizione ceramica che risale al XIII secolo. Ceramica italo-araba era quella prodotta inizialmente in Ariano, Fino a tutto il XVI secolo le maioliche si presenteranno interamente smaltate in bianco e decorate con sintetici elementi in azzurro. Nel XV secolo le opere dei maestri ceramisti guardano alle celebri maioliche denominate bianchi faentini imitate a lungo in tutta l’Italia.
Oggi si creano fiasche, borracce, busti, coppe, targhe, figure, anfore.
Napoli deve la celebrità della sua produzione ceramica a Capodimonte località in cui, oltre al Palazzo Reale, costruito a partire dal 1737, venne installata la fabbrica di porcellane per volere di Carlo III di Borbone. La materia prima proveniente dalla Calabria, permetteva di realizzare una pasta “tenera” ispirandosi alla manifattura di Meissen (Sassonia), gli oggetti realizzati a Capodimonte (contrassegnati dal giglio azzurro) raggiungono una forma artistica autonoma, elegante e raffinata; dopo la chiusura di Capodimonte una nuova fabbrica viene installata presso il Palazzo Reale di Napoli che produce porcellane con la lettera azzurra N coronata come marchio. Dopo la chiusura della fabbrica nel 1803 saranno le maestranze a portare avanti la prestigiosa tradizione. Da non perdere una visita alle ricchissime collezioni del Museo. Dopo la chiusura della Real Fabbrica saranno i ceramisti napoletani, organizzati in gruppi familiari, a portare avanti la tradizione, creando numerosi laboratori e fabbriche.
Lo stile ricercato faentino predomina anche a San Lorenzello (Benevento), città in cui venivano prodotte ceramiche, con temi di ispirazione religiosa, naturalistica, paesistica, allegorica, nei tipici colori: giallo intenso, verde ramino, arancio, manganese, nella gamma dal nero al bruno scuro. Testimonianza di un’arte che è ancora oggi attiva e prolifica è un prezioso pannello incastonato nel timpano del portale della Congrega di Maria S.S. della Sanità.

In Puglia, sulla direttrice della Via Appia Nuova, è Laterza città attiva in questo settore fin dal Medioevo, uno dei centri più interessanti per la produzione della ceramica invetriata e della celebre maiolica, che si differenzia dalle produzioni ceramiche più antiche per il bianco rivestimento stannifero ricoperto da una vernice lucida. La varietà degli stili, dal compendario all'istoriato, dalla monocromia alla policromia, testimoniano il successo commerciale, infine l’istoriato laertino con scene di cavalieri e la particolare scelta cromatica turchina su smalto bianco, con inserti in giallo e verde (fine XVIII secolo), ne definiscono ancora oggi l’identità. Anche qui le maioliche artistiche che decorano le chiese come il pannello con il Calvario, posto all'entrata della sagrestia del Santuario Mater Domini, su una parete della cripta e una raffigurazione ceramica a tre colorazioni dell'Immacolata Concezione, confermano la grande maestria degli artisti locali nella lavorazione e nella decorazione della ceramica.
A Grottaglie la tradizione ceramica è antichissima, ma fin dalla seconda metà del Cinquecento i documenti parlano di cretari e faenzari per distinguere gli artigiani che realizzavano oggetti d’uso comune da quelli che realizzavono oggetti più raffinati. La ceramica è nota con il nome di “bianchi di grottaglie”, erano realizzate zuppiere con piedi leonini, "ciarle" e "vucale" con elementi plastificati. Tipici della produzione pugliese sono le tazze nuziali, le fiasche a segreto, i boccali e le bottiglie antropomorfe. La più originale espressione della maiolica è costituita dalla tipica “ciarla” o giara con coperchio dalle grandi anse.

In Calabria, a Squillace, la ceramica ingobbiata e graffita si connota quale esempio di straordinaria continuità con la ceramica graffita bizantina. Trae probabilmente le sue origini dalle produzioni ceramiche della Magna Grecia. La caratteristica delle ceramiche doc squillacesi è rappresentata dall’antica tecnica dell’ingobbio, un procedimento che consiste nel rivestire il manufatto di un velo di argilla caolinite (di colore bianco), che viene poi decorato a graffio con una punta acuminata. L’argilla, così scoperta, in prima cottura assume un colore rosso scuro in contrasto con l’ornato ingobbiato biancastro.


In Sicilia i centri di produzione ceramica sono Caltagirone, S. Stefano di Camastra, Sciacca e Burgio
Sito ricco di argilla e di legna, Caltagirone (Catania) ha una sua produzione autonoma sin dall’antichità come testimoniano i reperti rinvenuti. Di fondamentale importanza per lo sviluppo della ceramica calatina, l’influenza araba come risulta evidente anche dall’origine stessa del nome della città: Qal'at al Ghiran, ovvero Rocca dei Vasi, che introduce i colori smaltati e l’ingobbio e motivi decorativi semplici e intrecciati con tonalità del verde del giallo e un blu leggero e decori di pesci uccelli o paesaggi. Particolarmente significativo è lo sviluppo della ceramica applicata alle architetture e alle decorazioni pavimentali testimoniata in più punti della città. Altri apporti, come ad esempio, nel Seicento l’influenza dello stile di Montelupo, contribuirono nel tempo ad arricchire lo stile e la qualità delle produzioni calatine. Un grande sviluppo nel Settecento vide la creazione di ceramiche dalle tinte più varie ed accese e contestualmente la creazione di elementi plastici che talvolta rendevano gli oggetti d’uso delle vere e proprie sculture. Nel corso del XIX secolo in periodo di crisi, questa attitudine alla scultura diede origine alla creazione di statuine e di gruppi scultorei di stampo verista, dipinte a freddo o lasciate del colore della ceramica.
Santo Stefano di Camastra, (Messina), si può considerare una città museo, un percorso obbligato in cui la ceramica fa parte del tessuto stesso della città con opere antiche e moderne. Una testimonianza di ciò viene dal vecchio cimitero comunale (1878-1880) in cui rivestimenti ceramici ritrovati sulle tombe costituiscono il più vasto campionario di produzione maiolica pavimentale. Nel XVIII secolo, grazie all’apporto di maestri maiolicari provenienti da Napoli, il cotto comincia ad essere smaltato e la ceramica di Santo Stefano diviene più raffinata al pari di quella di Caltagirone, Palermo, Trapani e Napoli dando vita a creazioni di grande pregio adatte per ambienti interni ed esterni dei palazzi nobiliari.
La città di Sciacca, nata come centro termale della vicina Selinunte nel VI-V secolo a.C., è attiva nell’arte ceramica dal periodo della dominazione normanna. Il periodo di maggior fulgore della maiolica di Sciacca è il XVI secolo, fase in cui operano importanti maestri Antonio Ramanno, i fratelli Lo Boj e Giuseppe Bonachia, detto “il Mayharata”. I fratelli Lo Boj si dedicano soprattutto ai vasi da farmacia, realizzandone alcuni nello stile di Napoli, Venezia e Faenza. Nella seconda metà del XX secolo, la ceramica di Sciacca torna in auge, nella decorazione dei vasi dominano i colori tradizionali giallo paglia, arancione, turchese, blu, verde ramina. Ai maestri saccensi, che prestarono la loro opera anche a Trapani, Burgio e Palermo, si devono le mattonelle per il Palazzo degli Aiutamicristo (1490) e per il Duomo di Monreale nel 1498.
Burgio (Agrigento) vanta una scuola ceramica risalente al XVI secolo la cui produzione si caratterizza per i colori tipici primari del verde e del sabbia e per i motivi floreali e ornitologici ricorrenti nella maggior parte dei manufatti che ancora oggi vengono riproposti nelle botteghe della cittadina normanna.

In Sardegna Oristano ed Assemini sono le principali custodi della tradizione ceramica. Oristano è stata protagonista fin dall’antichità e per tutto il Medioevo, di una vivace attività ceramica. I reperti sono invetriati e sono generalmente decorati con la tecnica dello stangiu, una coperta di ingobbio e vetrina. Tipica della ceramica di Oristano, è la coloritura in verde o giallo, talvolta supportata da ingobbio: la coperta vetrosa, chiazzata di verde e giallo sull’ingobbio bianco, che darà il nome alla “brocca pintada”, il pezzo più celebre della ceramica di Oristano.
Tra le forme più caratteristiche di questa ceramica ci sono la “brocca della Sposa”, appannaggio dei più ricchi, decorata con ornamentazioni plastiche, e “Su Cavalluccio”, collocato sui tetti, con funzione propiziatoria e di rappresentanza. Caratteristico è il vaso per l’acqua, a due anse in verde e giallo.
Tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, l’attività ceramica a Oristano, si sviluppa. In questo periodo si utilizzano l’ingobbio e la tecnica dello “slip-ware”, decorazione ottenuta tracciando con l’argilla bianca motivi decorativi sul pezzo ceramico.
Ad Assemini (Cagliari) le botteghe degli “strexiaius” (da strexiu”, stoviglia) creano le stoviglie di uso quotidiano, “con l’argilla alcalina di cui il territorio è ricco. Attualmente ad Assemini si producono stoviglie ornamentali, con motivi naturalistici (spesso ispirati a modelli molto antichi) o geometrici, in rilievo o a graffito. La produzione ceramica contemporanea si ispira a quella spagnola seicentesca dell'estrecho de terra (chiamato in sardo su strexiu), cioè delle stoviglie in terracotta destinate all'uso quotidiano e facenti parte del corredo della sposa.
Anche Pabillonis chiamato anche “sa bidda ‘e is pingiadas” (il paese delle pentole), nella Provincia del Medio Campidano (VS), è un centro noto per la manifattura di recipienti di cottura dove si fabbricavano suppellettili celebri per la resistenza alle alte temperature e per la leggerezza.

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